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SCRIPTA MANENT

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LETTURE SENZA CONFINI


SWINBURNE, IL POETA MALEDETTO D'OLTREMANICA

Publié le 1 Octobre 2021, 08:34am

Catégories : #Autori sotto la Lente

«For life is sweet, but after life is death» [A ballad of burdens]

Dell’era vittoriana i torbidi fumi dell’inferno siamo stati educati a rinvenire nei macabri misteri di Whitechapel, lungo i fendenti dell’ignoto Squartatore. Interrogativo che sempre mi son posto: Londra, la più sulfurea delle metropoli del XIX secolo, sembra non aver dato voce a Proserpina, fiato a Plutone. Dorian Gray uscirà nel 1890, Rimbaud è prossimo alla cancrena e Ducasse è da lungi svanito nell’oblio dei senza sepoltura. Soltanto Verlaine – o quel che ne resta – ancora vagheggia adorno di assenzio. Eppure, se il Regno Unito ha avuto il suo Baudelaire, ancorché egli sia, oggigiorno, condannato alla damnatio memoriae ben più dell’illustre maestro francese, è a Algernon Charles Swinburne (1837-1909) che dobbiamo volgerci. Non allo Swinburne senile, esiliatosi dalle scene mondane a ‘The Pines’ nei sobborghi della Capitale, minato dall’alcolismo e infermo di salute bensì allo Swinburne che, artisticamente, muore a 40 anni. È dal 1877, anno della trenodia per l’autore de I fiori del male, che Algernon può ritenersi un sopravvissuto, sorta di marchese De Sade rinchiuso nella torre di Hölderlin e ben sorretto dalle amorevoli cure dell’amico e compagno Theodore Watts-Dunton.

Si può pertanto affermare, con minimo ardimento ma sufficiente certezza, che lo Swinburne poeta, tra il 1865 (anno di pubblicazione della tragedia Atalanta in Calydon) e il 1866 di Poems and Ballads sia stato l’autentico poeta ‘maledetto’ d’oltre Manica. Temperamento provocatorio, dissacrante vita di scandalo e versi di opale. Suicidio, sado-masochismo, morbosità e sfrenate stravaganze non meno dello spleen baudelairiano si accompagnano al recupero ideale del Medioevo che da La Belle dame sans merci di Keats, attraverso i pre-raffaelliti di Rossetti, sgorga limpido nelle gemme di Swinburne: «Liberi dal troppo amore della vita,/ dalla speranza e dalla paura,/ con una breve preghiera ringraziamo gli dei,/ chiunque essi siano,/ che la vita non viva eternamente,/ che i morti non risorgano mai più,/ che anche il fiume più debole/ alla fine nel mare trovi riposo».

Swinburne – la cui effigie giovanile è servita a conio per il personaggio dell’ispettore Abberline interpretato da Johnny Depp nella trasposizione cinematografica della graphic novel From Hell di Alan Moore – è rimasto impaniato negli eccessi della sua condotta (espulsione da Oxford inclusa, in analogia con il precedente dell’amato Shelley) ben oltre il suo tempo. I lapidari giudizi espressi sul poeta, prima da Wilde ed in seguito da T.S. Eliot, ne hanno marcato indelebilmente la ricezione. Peccato capitale, poiché se a Swinburne possono attribuirsi, quasi per gemmazione, talune critiche rivolte al nostrano D’Annunzio, la zampillante vibrazione del verso e la sua tornitura, lo rendono il più voluttuoso poeta vissuto sotto il grifagno imperio della regina Madre.

Nessuna vita che canti il vizio resterà impunita e, laddove Baudelaire smarrirà l’uso della parola – quale beffardo fato per il cantore, il “dio dei poeti” (così Rimbaud) – Algernon sfiorerà la sordità e patirà innumerevoli tracolli. Il cupio dissolvi di Swinburne avrà echi eccellenti e meta-letterari: si confronti, a titolo d’esempio, la lettura del Nostro che il Martin Eden di London ritualmente compie prima di togliersi la vita: «Nulla respira in terra eternamente, / ogni sogno tramonta, ogni dolore; / le fantasie segrete della mente, / le lacrime che mute piange il cuore. / Due volte non ritorna chi ha sofferto / in questo triste mondo lacrimoso… / Fra tante cose incerte questa è certa: / per chi ha vissuto giungerà il riposo!»

Delle stravaganze, vere o presunte, di Swinburne, un autore dal passo che lieve affonda in sinuosi cerchi del tempo perduto, W.G. Sebald, tratteggia un mirabile affresco nel suo Gli anelli di Saturno. Anime affini e sublimi, che con lento incedere delibano l’ultimo aspro calice e dal teatro della vita ove sovrano regna il Tempo si dipartono: «Dove le rosse foglie morte degli anni giacciono a marcire,/ i vecchi freddi crimini e le azioni gettate via,/ i malconcepiti e i malgenerati, vorrei trovare/ un peccato da commettere prima di morire,/ che mi dissolva e mi distrugga completamente,/ che ti porti più in alto nei cieli, ti serva/ e ti lasci felice, una volta ch’io sia, come un morto/ uscito dalla memoria, del tutto dimenticato».

Luca Ormelli

Fonte: https://www.pangea.news/vorrei-trovare-un-peccato-da-commettere-prima-di-morire-swinburne-il-poeta-maledetto-doltremanica/

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