A Catania fino a pochi anni fa resisteva un piccolo uomo anziano che ha inseguito tutta la vita la fessura di luce dentro al suo cuore. Un uomo dal cuore infranto chiamato da tutti i catanesi “il vecchietto con la bicicletta”, considerato un pazzo, un poverino, uno che non ci sta molto con la testa. Ma d’altra parte è sempre così, chi ha l’ardore e il furore di seguire il proprio cuore è un pazzo. Orazio Di Grazia sfugge agli schemi, la sua storia gli sopravvive e lascia tutti sgomenti ancora oggi. Gli diamo del pazzo perché dire “libero” ci fa troppo strano e dovremmo ammettere poi provare pena per noi stessi.
A ottantacinque anni faceva il tragitto Catania – Nicolosi tutti i giorni, 40km in bici in qualsiasi stagione dell’anno. Noi ce li sogniamo allegramente quei kilometri, ma soprattutto di arrivare a ottantacinque anni così. Nel video intervista La bici sotto il vulcano (regia di Alessandro Marinaro e montaggio di Fabrizio Famà 2006-2008) trovate la sua splendida storia. Vedrete un uomo piegato sulla sua vecchia bici, ostinatissimo. Di quella ostinazione che proviene dal cuore e che nessuna parola può far deviare, una determinazione che appartiene a una Sicilia antica e non deve essere dimenticata.
Orazio sin da quando era bambino sognava una bicicletta, all’epoca poi erano costosissime, e lui lavorava la terra zappando e andava a vendere le patate porta a porta per mettere da parte qualche soldo. “Sin da quando ero ragazzo sentivo il desiderio, il bisogno di avere un giorno una bicicletta”. Aveva dieci anni. Il destino di un uomo spesso si manifesta in tenera età: lo spirito, il “daimon” come lo chiamano Hillmann e Platone, spinge dentro il corpo per uscire, per indicarci la strada. Orazio Di Grazia è un pazzo colpevole di aver seguito il suo daimon.
Ringrazio una mia collega dottoressa, catanese di nascita, per avermi fatto scoprire questa storia meravigliosa. Vi invito infatti a guardare il cortometraggio osservando in particolare come un essere umano che ha il cuore al suo centro esatto emani una dignità che nessun politico attualmente può anche solo vagamente sperare di avere. Vorrei Orazio Di Grazia tra gli scranni del potere, perché il cuore è il centro di tutto, non siamo nulla se abbiamo la mente piena ma il centro non sappiamo dove sia. “La stanchezza per me non esiste, non ho trovato un lavoro che mi stanchi. Qualsiasi lavoro. Fare Catania-Bolzano andata e ritorno, pensi lei cosa vuol dire. (…) Ogni anno sentivo il bisogno di andare e farlo in bici, l’ho fatto per dodici anni. (…) Col maltempo dovevo andare avanti lo stesso”. Orazio è l’esempio di una vita che ha risposto senza esitazione al suo daimon, il fuoco che lo brucia dentro è la passione per la bicicletta e niente lo ferma, è un’anima intatta e per questo intoccabile. Per questo i catanesi pensano che sia un povero pazzo, uno che non ci sta con la testa. E hanno ragione, Orazio ci sta col cuore!
Orazio ha trasportato in tutto questi anni gli ortaggi del suo orto che si coltiva da solo e tutti lo hanno conosciuto per l’uomo con la bicicletta che vendeva le patate migliori. Però la tecnologia, le macchine e la struttura del paesaggio cambia ed è diventato sempre più difficile per Orazio continuare con la stessa frequenza. “Oggi non si vende più come una volta, perché anzi che zappare il terreno si mettono i veleni”. Orazio insegna che la bontà del cibo deriva dal duro lavoro, bisogna zappare con le proprie mani e smuovere la terra ribelle di Sicilia. “O questo o niente!”. Le sue patate – dice – erano davvero “fini da mangiare”.
Alcuni catanesi credono che un uomo di ottantacinque anni che tutti i giorni percorre 40km abbia un problema psicologico, non esiste alcuna logica comprensibile in questo. Infatti hanno ragione, non esiste nessuna logica in un uomo che segue la propria passione a dispetto di tutto, del tempo e dell’età. Siamo colpevoli di esserci addomesticati. Stiamo a cuccia come i cani denutriti e aspettiamo che a fine mese qualcuno, il nostro padrone – stato, ci dia lo stipendio, i nostri agognati croccantini. Il vecchietto con la bicicletta è la storia di un cuore vivo e ferito che non si è addomesticato al tempo attuale, Orazio si è isolato per proteggere la sua integrità.
Si racconta infatti che Orazio fosse innamorato di Graziella ma il padre della ragazza era contrario a questa unione, non voleva assolutamente che stessero insieme. Nel frattempo scoppia la guerra e il ragazzo parte come soldato in Jugoslavia, durante il conflitto però non riesce più a far ricevere le lettere che scriveva a Graziella e il padre di lei le fa credere che sia morto. Finita la guerra Orazio torna in paese e scopre che la sua amata è stata data in sposa a un altro, un cugino ricco, ovviamente obbligata dal padre. Graziella però non ha mai dimenticato “quello con la bicicletta” e sentendosi in colpa di aver ceduto al ricatto del matrimonio si lascia morire di fame. Orazio ora ha al suo fianco la fedele bici, l’ha chiamata Graziella in ricordo di questo amore impedito. Non si è mai sposato, ha lasciato che l’eco di questo amore lo inseguisse per tutta la vita. Forse è per questo che ha pedalato finché non è morto nel 2008, forse pedalare era un modo per restare con il suo amore, per restituire il debito di vita in strade percorse.
Il vecchietto con la bicicletta dà una immensa importanza al cuore, non credete che un uomo non istruito sia necessariamente un uomo stupido; si interroga sui misteri del mondo e si chiede se c’è qualcuno che ci tiene in piedi, qualcuno che ci sorregge. “Chi ci sorregge fa un lavoro indescrivibile, (…) il nostro cuore fa un lavoro che nessuno riconosce, come spingere sette quintali e percorrere tutto il giro del mondo.” Il cuore però va aiutato con le braccia e con le gambe, se non lo facciamo stiamo costringendo il cuore a compiere un lavoro tremendo, chiediamo a Dio di fare tutto da solo. Questo piccolo uomo è talmente folle che riconosce il lavoro incessante che il cuore porta avanti anche da solo, anche se non lo aiutiamo. Questo mondo deve essere migliorato attraverso l’unione, unire le forze come si unisce la forza muscolare degli arti del corpo mentre si zappa la terra.
Orazio faceva parte di una ultima generazione di catanesi ancora dediti al sacrificio; il suo isolamento “strano” gli ha permesso di perseverare nell’ ostinazione del cuore. Nel dedicarsi al furore del fuoco, nello spingere la sua bicicletta tutti i giorni, curvo fino allo sfinimento. Rendiamo lode a questi uomini semplici che sono però immensi custodi del sacro e insegne luminose di resistenza e dignità.
Clery Celeste
Fonte: pangea.news