I romanzi di Juli Zeh, la scrittrice di Bonn dalla solida formazione giuridica, hanno la caratteristica di essere disegnati su quegli aspri territori di confine dove s’incrociano temi legati al crimine, alla libertà e alla giustizia. Ed è qualità specifica della tedesca riuscire a coniugare con efficacia l’arte del narrare con quella dell’argomentare.
Così avviene anche in Corpus delicti, uscito in terra teutonica nel 2009 e un anno dopo già disponibile in italiano per Ponte alle Grazie (con la traduzione opera di Roberta Gado Wiener), dove prova a sviluppare, fino alle estreme conseguenze, il potenziale totalitario dell’idea di prevenzione sanitaria.
La società utopica immaginata da Zeh è fondata sulla salute, perché questa rappresenta “il perfetto fluire della vita in tutte le parti”, è “traduzione della forza di volontà in longevità”, è “il libero dispiegamento del potenziale energetico biologico”. Assunta la salute come principio di legittimazione, lo Stato di cui si narra chiede ai propri cittadini rigida obbedienza alle regole di prevenzione: ciascuno deve presentare mensilmente rapporti sul sonno, sulla nutrizione, sul rendimento sportivo. Grande fiducia viene riservata ai residenti delle “case presidiate”, che sono condomini “autogestiti” nei quali alcune norme di profilassi igienica possono essere svolte autonomamente dagli inquilini: il “rilevamento periodico dei valori dell’aria”, il “controllo dei rifiuti e delle acque di scarico”, la “disinfestazione di tutti gli spazi comuni”.
Eliminati mercato, religione e democrazia in quanto “ideologie eccentriche”, restano ragione e metodo: “Obbediamo soltanto alla ragione”, fa dire la Zeh all’ideologo salutista e “nichilista autentico” Kramer, “ed abbiamo ideato un METODO che mira a garantire al singolo una vita quanto più possibile lunga e priva di disturbi, vale a dire sana e felice. Libera dal dolore e dalla sofferenza”. Così, grazie all’ordine salutista, perfino il raffreddore è scomparso e le stesse relazioni tra uomini e donne, sempre in nome della prevenzione, sono gestite dall’Agenzia Centrale d’Accoppiamento.
In questo contesto, non così lontano dalle aspirazioni di buona parte della nostra società occidentale, la Zeh muove i personaggi portatori di una domanda di senso: i fratelli Mia e Moritz Holl e con loro i “rivoluzionari” che rivendicano il “diritto alla malattia”, perché il dolore è “l’unica occasione di percepire se stessi”, contraddistinti, a detta di Kramer, dalla “fede reazionaria nella libertà”.
Mia combatte la propria battaglia in difesa della memoria del fratello, suicidatosi perché ingiustamente accusato d’omicidio. Moritz sosteneva che “al vero essere umano l’esistenza non basta”, così Mia ricorda il suo desiderio di amare, il suo addentrarsi nell’”antigenico bosco”, il suo mangiare pesci squamosi “più buoni di qualsiasi conserva di proteine del supermercato”, finché inizia a “pensare con il cuore” e a scoprire una vivissima relazione con il fratello morto: “Il nome di lui invalida ogni ragione. […] Non basta credere a una persona. Non basta nemmeno sapere che è innocente. Bisogna votarsi a lei con tutto il proprio essere”. Grazie a questa nuova relazione con Moritz, Mia inizia ad osservare diversamente i gesti delle persone: il modo di porgere una tazza da parte del suo stesso accusatore Kramer diventa così un “atto sacrale”, come se in quel gesto si manifestasse “un’assolutezza nel rapporto con il mondo”.
Sottoposta a processo per aver fumato una sigaretta (“abuso di sostanze tossiche”) Mia finisce con l’identificarsi con il Corpus delicti: “Sono malata. Sono libera. Malata. Libera”. Il giudice non può fare altro che condannarla all’unica morte ammessa dall’ordine salutista: l’ibernazione a tempo indeterminato. Tuttavia, dopo averle concesso un ultimo desiderio (una sigaretta) il sistema le concederà la grazia, perché “Gesù di Nazareth, Giovanna d’Arco…la morte rende immortale il singolo e rafforza l’opposizione”. Meglio dunque, secondo “ragione” e in ottemperanza al METODO, sottoporla ad “assistenza psicologica”, a “ricovero in istituto di risocializzazione”, a “sorveglianza sanitaria”, a “training quotidiano”.
Un romanzo al limite del profetico, dunque, questo Corpus delicti. Da rilanciare, di questi tempi. Eppure a precisa domanda, l’editore (ovvero Gruppo Editoriale Mauri Spagnol) candidamente risponde: “ahimè titolo di dieci anni fa…fuori commercio.” Bontà sua.
Ma non esitate a cercarlo. Qualche copia in giro si trova ancora.
Vito Punzi
Fonte: https://www.pangea.news/juli-zeh-corpus-delicti-commento-vito-punzi/