Attraverso l’umido, fitto pulviscolo che costituiva il massiccio muro di nebbia, radenti si fecero strada i fari dell’automobile e subito nella luce apparvero luridi, innumerevoli musi di maiale.
L’uomo alla guida fermò la vettura e, alzate le mani dal volante con riluttanza, stette a guardare. La donna al suo fianco tirò un profondo, dolente sospiro e con rabbia distolse lo sguardo, gettandolo nella nebbia.
Davanti al cancello della loro casa, intanto, quel branco di maiali spingeva forsennatamente cercando d’entrare. Tentava tragicamente, maldestramente, persino di scavalcarlo, ottenendo come unico risultato che molti porci finivano per essere schiacciati, restando morti lì sotto; o al meglio, malconci, scivolavano a lato del branco. Fra questi, chi poteva, cercava di immettersi di nuovo in quel gruppo, pronto a tornare a spingere ancora ottusamente, ciecamente, invischiato in mezzo a quell’orribile fanghiglia che – chissà come – quando si spostavano, ovunque andassero, si muoveva con loro.
Stavolta no, disse la donna guardando il marito, che le offriva in cambio un impotente sguardo di tre-quarti. Stavolta no, ti prego.
Lo so, hai ragione, ma cosa vuoi fare? ribatté lui, appoggiate le mani sul volante. E poi ce l’aspettavamo. Anche tu hai detto, proprio ieri sera, mi pare: È da un po’ di tempo che non tornano, da troppo tempo.
Non potremmo far finta di niente, andare magari in albergo da qualche parte? Solo per stanotte.
No, così ci devastano l’ingresso e, oltre ad avere l’interno distrutto, ci ritroviamo a pezzi anche tutta la parte di fuori della casa. È meglio aprire e basta. Alzò le mani e concluse: Stavolta è toccata a noi, facciamocene una ragione.
Riavviò il motore e cercò di farsi strada in mezzo al branco. I porci non ne volevano sapere di lasciarli passare, quasi riconoscessero in loro dei rivali, e battevano con i loro musi contro la carrozzeria colpi pesanti e sordi come enormi chicchi di grandine. Dovettero passare con l’auto anche sopra al corpo di un maiale ferito, perché nessuno dei due ebbe il coraggio di scendere lì in mezzo per cercare di spostarlo. La macchina sobbalzò una volta e i due udirono allora, sotto di loro, un grido tremendo. Sobbalzò un’altra volta e la donna si schermò gli occhi con una mano mentre l’uomo, cautamente procedendo, guardava nello specchietto retrovisore.
Quando arrivarono al garage avevano accumulato un certo vantaggio su quella parte di branco che li inseguiva disordinatamente e l’uomo ebbe così tutto il tempo di scendere
per aprire, indisturbato. Parcheggiarono all’interno e riuscirono a salire le scale che conducevano all’ingresso secondario senza essere molestati. Lasciarono tutto aperto, spalancato, per evitare che i maiali tentassero di forzare anche quell’accesso, e fu facile per loro, poco dopo, seguirli dentro casa.
L’uomo raggiunse frettolosamente l’ingresso principale e lo spalancò; corse poi ad aprire anche il cancello che era stato inizialmente preso d’assedio. Fu poi costretto ad attendere che la parte più cospicua degli animali passasse, perché sarebbe stato certamente travolto se avesse provato a camminare in mezzo a quel flusso caotico e violento.
Dalla porta principale i primi entrarono lanciati in una folle corsa, spesso abbattendosi contro spigoli e pareti. Molti fra quelli che li seguivano si rovesciarono dopo essere scivolati sul fango che chi li precedeva aveva sparso lungo il proprio cammino. Slittavano poi sulla cera stesa sul pavimento della sala, finendo la corsa in uno schianto contro qualche mobile.
Si formò un blocco enorme, pulsante e grugnente nel varco della porta principale. L’uomo lo scavalcò in qualche modo e anche lui fece rientro. Quasi tutto il branco, che giungesse dalle scale posteriori o dall’ingresso principale, come prima cosa prese d’assalto le provviste in cucina. Entrare lì, ormai, per la coppia era diventato impossibile. Un vero e proprio muro di maiali incastrati impediva il passaggio.
L’uomo raggiunse la moglie, momentaneamente riparata in bagno, e insieme, turandosi il naso e fissando il soffitto si rifugiarono in camera da letto, dove si asserragliarono.
Immobili, in silenzio, stesi a letto con lo sguardo nel buio, finsero di dormire. In verità non si poteva evitare di stare svegli a causa del bussare continuo di quei musi contro alla porta e di tutto il fracasso prodotto dagli oggetti che cadevano frantumandosi. Lei all’improvviso ruppe in una crisi di pianto fragorosa. Suo marito, credendo di consolarla, le prese una mano e disse:
Lo sai, sai cosa gli abbiamo fatto, per troppo tempo. Li abbiamo torturati e uccisi per millenni. Ora non possiamo più negargli niente, in coscienza. È ciò che gli spetta, tutto questo è inevitabile.
Ma io, replicò lei prendendo fiato tra un singhiozzo e l’altro, io non li ho mai mangiati.
Lo so, lo so. Ma se tu sei qui così come sei, bella e intelligente, e amata, e vivi in questa casa così comoda ed elegante, è anche perché chi ti ha preceduto ha potuto… ha voluto sfruttare le loro vite, le loro carni, le loro anime, se mai le hanno avute. Dai, proviamo a dormire davvero, adesso.
Sì, proviamo a far finta un po’ meglio di dormire, d’accordo, rispose lei stringendogli forte la mano e sprecando un sorriso nel buio.
Benché sembrasse che i maiali si fossero calmati, ogni tanto si udiva ancora un tonfo, un tonfo che li disgustava ricordando il suono d’un oggetto lanciato in un lago denso e vischioso, ma quel lago era ormai il pavimento della loro casa. Del liquido marrone penetrò sotto la porta della camera. Addirittura lo si udiva avanzare.
Scusa, fece appena in tempo a dire l’uomo. Aprì la porta abbastanza per infilarci la faccia e vomitò fuori da lì, in testa ai maiali stesi davanti alla camera, facendo attenzione, nel frattempo, a sbarrare il passaggio con le gambe a quelli che, risvegliatisi, avevano ripreso la carica.
Credette di leggere nei loro occhi uno sguardo pieno di feroce rimprovero.
Non senza sforzo l’uomo riuscì a richiudere la porta e a trascinarsi fino al letto, dove si sedette sul bordo. Disse:
È colpa nostra tutto questo. E ci succede così perché viviamo in un mondo giusto, ora. E se non siamo felici è perché non ne siamo all’altezza, perché noi non siamo giusti.
La donna si sedette accanto a lui e gli cinse le spalle con un braccio.
Impareremo, disse.
No, è troppo tardi, replicò lui. Il male compiuto non si cancella. Produrrà sempre altro male. È ridicolo tentare di porre rimedio. Ridicolo. Sarebbe meglio dimenticarlo.
Se dimentichi il male non lo puoi curare.
Ma se dimentichi un male incurabile? Non è come morire sognando?
Non credo esista un sistema migliore, disse lei accarezzandogli la fronte. Si potrebbe soltanto porre fine a questo ciclo di vite.
A quanto pare, quietati, i maiali erano finalmente caduti in un sonno profondo. Alcuni di loro, forse, se n’erano già tornati da dove erano venuti.
Durò brevemente, quella pacifica parentesi: già le luci dell’alba grattavano contro i vetri delle finestre della stanza.
L’uomo e la donna allora si levarono e dopo essersi scambiati uno sguardo si strinsero in un abbraccio. Lui aprì la porta, e un sorriso ironico accompagnò il gesto cavalleresco con cui la invitava a passare per prima.
Avanzando tra fango ed escrementi, schivando o scostando come potevano i porci pesantemente addormentati in ogni angolo, finsero di non notare la devastazione da cui erano circondati, la casa depredata.
Distogliendo ancora lo sguardo uscirono e se andarono di casa, consapevoli che i maiali se ne sarebbero andati autonomamente, al risveglio.
Ma questi non sono quelli delle altre volte, osservò la moglie.
Non sono mai gli stessi, rispose suo marito.