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Si sentiva libero, come ci si sente solo quando si è lontani da casa, si parla con gente di condizione inferiore, si tiene per sé tutto ciò che ci riguarda, e si discorre degli affari altrui con indifferenza, fingendoli importanti, ma lasciandoli cadere quando ci garba.
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Se poi lei si ritiene un privilegiato per il fatto di poter stare lí seduto ad ascoltare tranquillo, mentre io, tanto per usare le sue parole, striscio a quattro gambe, allora le ricorderò il vecchio detto: per chi è sospettato, è meglio il moto della quiete, perché chi sta fermo può sempre, anche senza saperlo, stare sul piatto d'una bilancia, ed essere pesato con i suoi peccati.
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A questo proposito i commentatori dicono: «La retta comprensione di un fatto, e il fraintendimento di questo stesso fatto, non si escludono a vicenda per intero».
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«Che novità sono queste?» disse K.: saltò dal letto e si infilò rapidamente i pantaloni. «Voglio proprio vedere chi c'è di là, e che scuse troverà la signora Grubach per questa seccatura». Si era bensì accorto subito che non avrebbe dovuto dire quelle cose ad alta voce, perché in certo modo esse comportavano il riconoscimento di un diritto al controllo da parte del nuovo venuto, ma lì per lì la cosa non gli parve importante.
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In una mattina d'inverno – fuori la neve cadeva nella luce cupa – K. sedeva nel suo ufficio, straordinariamente stanco già nelle prime ore. Per difendersi almeno dagli impiegati di livello inferiore aveva dato al commesso l'ordine di non lasciar passare nessuno di loro perché era occupato in un lavoro importante. Ma invece di lavorare si rigirava sulla sedia, spostava lentamente qualche oggetto sul tavolo, poi senza avvedersene fece cadere il braccio disteso lungo il piano del tavolo e rimase immobile con la testa china.
Il pensiero del processo non lo lasciava più. Aveva già più volte pensato se non sarebbe stato meglio redigere una difesa e inoltrarla al tribunale. Voleva anteporvi una breve descrizione della sua vita e chiarire, riguardo ad ogni evento in qualche modo più importante, le ragioni del suo comportamento e se, secondo il suo giudizio attuale il suo modo di agire era da riprovare o approvare e quali motivi poteva addurre in un caso o nell'altro. I vantaggi di una tale difesa scritta rispetto alla pura e semplice difesa dell'avvocato, del resto per niente ineccepibile, erano indubbi. K. non sapeva affatto quello che l'avvocato intendesse fare; in ogni caso non doveva essere molto, già da un mese non lo aveva più chiamato, e in nessuna delle conversazioni precedenti K. aveva avuto l'impressione che quell'uomo potesse far molto per lui. -
K. la guardò senza espressione, come un'estranea: non voleva farle capire né che era deluso, né che avrebbe potuto superare facilmente la delusione.
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«No,» disse il sacerdote, «ma temo che finirà male. Sei ritenuto colpevole. Forse il tuo processo non andrà neppure oltre un tribunale di grado inferiore. Almeno per il momento, la tua colpevolezza si dà per dimostrata.» «Ma io non sono colpevole,» disse K., «è un errore. E poi, in generale, come può un uomo essere colpevole? E qui siamo pure tutti uomini, gli uni quanto gli altri.» «È giusto» disse il sacerdote, «ma è proprio così che parlano i colpevoli.»
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Non aveva più scelta, se accettare o rifiutare il processo, vi era dentro e doveva difendersi. Se era stanco, tanto peggio.
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Non c'era niente di eroico se anche resisteva, se anche metteva ora in difficoltà i signori, se tentava di gustare l'ultimo barlume della sua vita difendendosi.
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«Se il cuore non mi regge, almeno avrà una buona occasione per arrendersi del tutto»
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«Tu fraintendi la situazione,» disse il sacerdote, «la sentenza non viene ad un tratto, è il processo che poco a poco si trasforma in sentenza.» «Ah, è così,» disse K. abbassando il capo.
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Spesso è più sicuro essere in catene che liberi.
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Chi era? Un amico? Un uomo di cuore? Uno che provava compassione? Uno che voleva portare aiuto? Era uno solo? Erano tutti?