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SCRIPTA MANENT

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LETTURE SENZA CONFINI


“ OGNI POTERE POLITICO E' CONTRO NATURA, TENDE AL REGIME ”. PAUL VALERY E LA DITTATURA

Publié par Paul Valéry sur 26 Septembre 2022, 06:40am

Catégories : #Pagine d'Autore

Non so quasi nulla di politica pratica: presumo vi si trovi tutto ciò da cui rifuggo. Nulla dovrebbe essere così impuro, confuso, e io non amo il caos, l’indebita commistione di bestialità e metafisica, forza e diritto, fede e interesse, il positivo e il teatrale, gli istinti, le idee…

Mi limiterò dunque a immaginare davanti al lettore lo stato nascente di una Dittatura.

Tutti i sistemi sociali sono più o meno contro natura, e la natura, in ogni istante, lavora per riprendersi i propri diritti. Ogni essere vivente, ogni individuo, tende a spezzare o a disintegrare il possente apparato di astrazioni, la gabbia delle leggi e dei riti, l’edificio delle convenzioni e dei consensi che definiscono una società organizzata. Individualità singolari, gruppi di interesse, sette, partiti, minano, corrompono, dissolvono, ciascuno secondo i propri scopi e i propri mezzi, l’ordine e la sostanza dello Stato.

Finché gli abusi, gli errori, i fallimenti che, in ogni regime possibile, esistono e non possono non esistere, non alterano il principio stesso di questa entità (la fiducia nel suo credito e la certezza della superiorità delle sue forze), l’opinione pubblica non è eccessivamente irritata da questi incidenti che, prontamente riassorbiti, dimostrano la profonda solidità delle istituzioni prima che la loro compromissione. Tuttavia, può venire un tempo in cui si tocca la soglia della coscienza generale, in cui diventa impossibile per la maggioranza pensare ai propri interessi particolari senza ritenere che ogni ostacolo sia imputabile ai vizi dello Stato. Quando le circostanze generali sono tanto inquietanti da incidere sensibilmente sulla vita privata, quando la cosa pubblica pare al giogo degli eventi, un mero gioco, quando la fiducia negli uomini e nelle istituzioni è terminata e il funzionamento delle amministrazioni e dei servizi, l’applicazione della legge sembrano abbandonati al capriccio, al favoritismo, alla routine; quando i partiti lottano per il mero godimento del potere più che per ottenere ciò che esso offre per ordinare una nazione entro un’idea – queste sensazioni di disordine e di pericolo non mancano mai di eccitare in coloro che le sperimentano senza trarre alcun profitto da tale dissoluzione, l’immagine di uno Stato opposto, radicalmente contrario; e lavorano per stabilirlo.

Un regime, dunque, è retto da tre punti: le forze degli interessi particolari che ne permettono l’esistenza; l’incertezza e la paura dell’ignoto; l’assenza di un’idea di domani, unica e piuttosto precisa (o dell’uomo che tale idea dovrebbe rappresentare).

L’icona della Dittatura è la risposta inevitabile – e perfino istintiva – del pensiero quando non riconosce più la condotta degli affari, l’autorità, la continuità, l’unità, che sono i segni della volontà riflessiva, dell’impero della conoscenza organizzata.

Tale risposta è indiscutibile. Non è detto che non comporti grandi illusioni sulla portata e la profondità d’azione del potere politico; ma è la sola che si forma dall’incontro tra il pensare e il caos delle circostanze pubbliche. Tutti pensano alla Dittatura, consapevoli o meno; tutti sentono nel proprio intimo l’insorgere di un dittatore. Si tratta di un primo effetto, spontaneo, una specie di atto riflesso, per cui il contrario di ciò che è esige una figura indiscutibile, unica, determinata. È una questione di ordine e di sicurezza pubblica, è necessario raggiungere tali obbiettivi nel modo più rapido possibile. Soltanto un IO può impegnarsi per questo scopo.  

Questa stessa idea – pur senza esporsi tanto recisamente – è in tutti coloro che sognano di riformare o di rifare la società secondo un progetto teorico, la cui attuazione richiede profonde modificazioni della legge, dei costumi, perfino dei cuori.

In entrambi i casi, si attribuisce alla società un fine ben determinato: l’assimilazione, più o meno legittima, di un gruppo di esseri viventi a una costruzione, a un meccanismo, che deve soddisfare alcune condizioni, che deve manifestare in ogni occasione l’ordine inequivocabile di un pensiero.

Insomma: quando la mente non si riconosce più – o non riconosce più i suoi tratti essenziali, il suo modo di agire ragionevole, e sperimenta l’orrore per il caos, la dissipazione delle forze – nei fluttuanti fallimenti di un sistema politico, immagina necessariamente, desidera istintivamente, il pronto intervento dell’autorità di un solo capo, perché soltanto in un unico capo è chiara la corrispondenza tra percezioni, nozioni, reazioni, decisioni, che può organizzarsi e imporre condizioni e disposizioni intelligibili.

Tutti i regimi, tutti i governi sono esposti a questo giudizio della mente: l’idea di Dittatura si profila non appena l’azione o l’astensione dal potere appare inconcepibile, incompatibile con l’esercizio del proprio intelletto.  

Bonaparte, Primo Console, entra nella sala dove il Consiglio di Stato discute in modo piuttosto confuso dell’organizzazione amministrativa della Francia. Ascolta per un po’. Poi, con uno sguardo che azzittisce tutti, una sorta di ispirazione lo anima, improvvisa – o finge di improvvisare – un intero piano che lascia gli astanti, più avvezzi a cavillare che a creare, per metà affascinati e per metà sconvolti. L’incantatore impetuoso, imperiale, sviluppa un’idea semplice e straordinaria, che sembra rivelarsi proprio mentre la fila dal fondo delle vane attese, e la tesse con un discorso nervoso e audace. Dice loro di prendere a modello delle istituzioni organiche, create secondo la struttura e le funzioni della sua facoltà intellettiva, della sua determinazione – che costituirà l’amministrazione in modo tale che lo Stato possegga mezzi e organi di percezione, elaborazione, esecuzione, che assicurino esistenza a un essere la cui mente, lucida e positiva, sia servita da sensi e muscoli costantemente esercitati.

Tutta la politica tende a trattare gli uomini come cose – dacché si tratta pur sempre di disporli secondo idee sufficientemente astratte da potersi tradurre, da un lato, in azioni, il che esige un’estrema semplificazione delle formule; dall’altro, di applicarsi su un’indeterminata vastità di individui sconosciuti. Il politico si raffigura queste entità come elementi aritmetici di cui può disporre. Anche l’intenzione sincera di concedere a questi individui quanta più libertà è possibile, di offrire a ciascuno una scheggia di potere, porta a imporre loro, in qualche misura, vantaggi che magari non desiderano. Abbiamo visto persone lamentarsi di essere lasciate libere.  

Quando si tratta di uomini, la mente non può che ridurli a un insieme combinatorio. Di loro, conserva soltanto le proprietà necessarie e sufficienti che le permettono di perseguire un certo “ideale” (di ordine, di giustizia, di potere, di prosperità…), riducendo la società umana a una specie di opera, in cui si riconosce. Nel dittatore cova un artista, un’estetica nelle sue concezioni. Deve dunque modellare il materiale umano di cui dispone, raffinarlo, per renderlo disponibile ai suoi scopi. Le idee altrui devono essere potate, elaborate, condotte a unità; il loro istinto “spontaneo” deve essere sedato o insidiosamente sedotto, ridotto a formule chiare ed esplicite che rispondano a tutto, che tutte le obiezioni sappiano prevenire; i sentimenti saranno rieducati etc. (Affinché l’opera che l’intelletto persegue non soffra di eccesso di sottomissione, di inerzia da parte dei propri sottoposti, tuttavia, non bisogna negare o distruggere o inficiare la loro iniziativa).

In tal modo, lo spirito (politico) che in ogni caso si oppone all’uomo, all’umano, a cui contesta la libertà, la complessità, la mutazione, raggiunge, in un regime di dittatura, la pienezza del suo sviluppo.

Sotto tale regime che è, come si è detto, la realizzazione più compiuta – benché implicita – di ogni pensiero politico, l’intelletto è posseduto dal supremo desiderio di applicarsi, con la volontà di lavorare al bene, cioè alla propria opera, e compiere con la potenza più clamorosa, l’atto dell’uno contro tutti, grazie a tutti, e idealmente per tutti, che è caratteristico della sua natura e che esige da lui lo spettacolo del disordine umano. Si presenta dunque come una coscienza superiore, introduce nella pratica del potere il contrasto e la relazione subordinata, che esistono in ogni individuo, tra volontà riflessa, orientata a un fine, e l’insieme dei vari “automatismi”. La mente si occuperà delle menti, allenando o allentando i poteri inferiori che la penetrano e la riducono: paura, fame, miti, eloquenza, ritmi e immagini – ragionamenti, a volte. Tali mezzi, fondati sullo sfruttamento della sensibilità, saranno rapinati, ridotti al suo servizio.

Nelle moderne forme di dittatura, la gioventù e l’infanzia sono oggetto di particolare attenzione, sarchiate da un peculiare lavoro di formazione.

Dunque, regnerà l’ordine: alla massa saranno assicurati diversi beni necessari – alcuni autentici, altri immaginari.

Gli atti di potere sembreranno esatti e razionali, anche se la loro energia è spesso spesa nel rigore.

Gli istinti di conversazione e di crescita collettiva che determinano un popolo saranno chiari, compiuti, compiti, composti, ben definiti nelle idee e nelle strategie di una sola testa, in cui si combina, curiosamente, il disprezzo per la folla manipolata e il culto della forma storica nazionale, di cui quella folla è la momentanea materia.

Paul Valéry

*Le Éditions fata morgana, in Francia, hanno da poco pubblicato, come L’idée de dictature, due saggi “politici” di Paul Valéry. In particolare, abbiamo tradotto una lunga parte del saggio che dà titolo al volume: è la prefazione di Valéry a un libro António Ferro (1895-1956), Le Portugal et son Chef, pubblicato da Grasset nel 1934. Scrittore e saggista, António Ferro ha fatto parte, tra l’altro, insieme a Fernando Pessoa, del gruppo che ha fondato la rivista modernista “Orpheu”, dirigendola. Vicino a Salazar, dal 1933 ha ideato il “Secretariado de Propaganda Nacional”. Alla traduzione francese del suo libro, ha fatto seguito quella inglese, nel 1939, per la Faber: Salazar. Portugal and her leader è introdotto da uno scritto di Sir Austen Chamberlain, già Cancelliere dello Scacchiere e Segretario d’India.  


 

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