Michel Onfray, tra i maggiori filosofi del panorama francese ed europeo, vive nel nostro tempo come un soldato nemico prigioniero in una nazione occupata. In piedi sulla cima del vulcano della nostra civiltà, pronto ad eruttare e trascinarci negli abissi della storia, Onfray osserva il mondo occidentale come una megera sfatta che si orna dei suoi antichi e svenduti gioielli, ricordi di un passato ormai tramontato e rinnegato, opponendogli lo sdegno classico di chi non confonde l’ultima moda del tempo con la verità ultima dell’eterno. Come un antico patriarca dei mores maiorum, osserva un mondo pavido assordato dalle musichette dei suoi divertimenti ed accecato dai neon sfavillanti delle meraviglie della tecnica come una discarica coperta da rovine metalliche. Rovine di idee, di dogmi, di valori, di civiltà che ricoprono la vecchia Europa, che non sa più amarsi, ma solo risparmiarsi o rinnegarsi preda delle ideologie del piagnisteo e dei suoi facili quanto inutili miraggi.
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