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SCRIPTA MANENT

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LETTURE SENZA CONFINI


C'ERA UNA VOLTA IL CALCIO, C'ERA UNA VOLTA GIANNI BRERA

Publié par Luca Rinaldi sur 25 Octobre 2023, 07:08am

Catégories : #Società

« L’oggetto era quasi sferico, di rozzo cuoio a pezze rettangolari cucite all’interno; una sorta di bocca stringata con una correggia di pelle vi faceva incongruo e minaccioso bernoccolo. Sotto la stringa s’indovinava un budellino di gomma telata, che era legato con spaghetto di canapa e ripiegato in modo che non ne potesse fuoruscire l’aria. Esso sporgeva dal foro centrale di una pezza ellittica di cuoio più morbido, che proteggeva la vescica. Fra la pezza di protezione e la sfera vera e propria veniva allora il budellino, protetto dalla correggia intrecciata e rimandata più volte dall’ultimo foro al primo, così che non avesse a smollarsi durante il gioco».

Gianni Brera descrive così, nell’incipit della monumentale Storia critica del calcio italiano, i palloni che si usavano nei primordi del football. Doveroso celebrare il più grande fuoriclasse di sempre, tra i cantori del calcio, il giornalista che ha inventato la critica sportiva e coniato neologismi entrati nel gergo sportivo e poi finiti nei dizionari, in questi giorni in cui ricorre il 160° “compleanno” del calcio moderno. Era il 26 ottobre 1863 quando, a Londra, alla Free Mason’s Tavern, si riunirono i rappresentanti di undici club e scuole londinesi: l’assemblea accolse all’unanimità la proposta di Ebenezer C. Morley, presidente del Barnes, che chiese di fondare un’associazione con il compito di definire regole certe per il gioco che ormai da decenni veniva praticato nei cortili e nei parchi gioco di molte scuole d’Inghilterra. Nacque così la Football Association (FA), la prima organizzazione calcistica della storia.

Qualche decennio più tardi, Brera porterà una vera e propria rivoluzione nel modo di raccontare il calcio. Accade quando diventa (a trent’anni!) direttore della Gazzetta dello sport. Ha dimostrato la sua stoffa scrivendo pezzi memorabili al seguito del Tour de France del 1949: e da direttore può imporre il suo modo di intendere il giornalismo sportivo. La tecnica, prima di tutto, sentenzia: si parte dal tiro in porta, senza perdersi in americanate da football. Non è affatto scontato, in quegli anni: quando Brera era entrato alla “rosea, subito dopo la Liberazione, aveva osservato come in redazione ci fossero gli «amanuensi», che s’intendevano di calcio, avendolo giocato, ma non sapevano mettere in fila dieci parole, e «gli epigoni del Vate Gabriele», che scrivevano bene ma non sapevano nemmeno che la palla fosse di cuoio. Lui è il primo a coniugare la competenza tecnica dell’ex promettente centromediano (costretto però a studiare dalle zoccolate della sorella-madre Alice) con una penna che è già di gran classe e che affinerà articolo dopo articolo. Impone al lettore l’interpretazione tecnico-tattica della partita (altra cosa per nulla scontata): di fatto, inventa la critica sportiva.

Sempre e comunque, la tecnica prima di tutto: ingaggia campioni del passato e del presente per scrivere di calcio (Peppino Meazza), di tennis (Gianni Clerici), di scherma (Edoardo Mangiarotti). Qualsiasi sport, se raccontato in maniera intelligente, non superficiale, e soprattutto con competenza, può essere interessante: è la lezione che i suoi allievi (qualche nome, tra i più grandi e fedeli: Mario Fossati, Giulio Signori, Pilade del Buono) non dimenticheranno più.

La prosa del Gioânn Brera è un mix di costrutti classici ed espressioni popolane, vocaboli aulici e dialetto schietto: unica, inimitabile (chi ha provato a imitarla ha rimediato figure barbine). Dai polpastrelli (quando non detta i pezzi a braccio: e il lettore non se ne accorge) sgorgano parole nuove, che innervano il linguaggio dello sport. Come l’artigiano che fabbrica gli oggetti utili per il suo lavoro, dice lui. Ma qui c’è molto di più: qui c’è il genio. Mettendo insieme, datando e commentando un bel malloppo di neologismi breriani, Andrea Maietti si laureerà alla Cattolica nel 1976 con una tesi sul calciolinguaggio di Gianni Brera (convincendo l’illustre filologo Augusto Marinoni ad accettare l’idea di una tesi su un giornalista sportivo facendogli leggere la prima pagina di Addio, bicicletta). Decine di altre tesi sono discusse, ancora oggi, a tutte le latitudini, sul “fenomeno Brera”, linguistico e non solo.

Ecco qualche conio breriano, tanto per gradire: melina e goleador, incornare e uccellare, pressing e pretattica, palla-gol e centrocampista. I due di cui andava più orgoglioso: libero (diventato perfino il titolo di un film, in tedesco, su Beckenbauer) e intramontabile (nato da un errore grammaticale, essendo il concessivo di un verbo intransitivo, ma finito nel vocabolario). E i soprannomi? Immortali. Un lungo elenco di capolavori, da prestigiatore della parola (a proposito: un altro neologismo è prestipedatore, per i calciatori che fanno magie con i piedi). Abatino è il più famoso, nato per Berruti ma rimasto appiccicato a Rivera per tutta la carriera, Armando (gerundio) Onesti il più geniale, Pinna d’oro il più bello, ossimoro dolcissimo per il bassaiolo Giampiero Marini. E Rombo di tuono Riva, Bonimba Boninsegna (mix tra Boninsegna e Bagonghi, il nano del circo), Deltaplano Zenga, Simba Gullit, Stradivialli (Vialli), Puliciclone (Pulici).

La maturità del calciolinguaggio di Brera arriva negli anni Cinquanta e Sessanta, quelli d’oro del Giorno e del Guerino: e, con quella, una popolarità e un’autorevolezza via via crescenti, al punto da influenzare le scelte di allenatori e commissari tecnici, di “pesare” per quarantamila copie quando cambia giornale. Cose impensabili, oggi. E, sempre, di spaccare l’Italia pallonara in due: o con lui, se si segue il suo credo tecnico-tattico (safety first, primo non prenderle) o contro di lui. O con Brera o con Rivera. O con Brera o con Umberto Eco (che commette l’imprudenza di scrivere di «gaddismo spiegato al popolo» e finisce vittima di ripetuti attacchi di Brera, infuriato per l’accostamento). Tutte polemiche affrontate a testa alta, con coraggio, lealtà, coerenza. Rispettando, sempre, il lettore: l’unico, vero «padrone» che riconosce.

Come Gioânnbrerafucarlo non ci sarà più nessuno, questo è certo: non è un caso che, ancora oggi, più di trent’anni dopo che se n’è andato, siamo ancora in tanti, noi Senzabrera (copyright di Gianni Mura), che ci ostiniamo a provare a camminare nel suo solco.

Claudio Rinaldi

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