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SCRIPTA MANENT

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LETTURE SENZA CONFINI


LA MELA AVVELENATA DI ALAN TURING

Publié par Gilberto Trombetta sur 13 Juin 2024, 07:33am

Catégories : #Futurologia

Nell’autunno del 1915, prima di tornare in India, la signora Turing si raccomandò col giovane secondogenito «Sarai un bravo ragazzo, vero?». Alan, che all’epoca aveva appena 3 anni, le rispose «Certo, ma a volte lo dimenticherò».

In quelle parole si intravede già la caratteristica che più di altre segnerà la vita di uno dei più grandi geni della storia: la diversità. Una vita costellata di strabilianti successi scientifici e di grandi fallimenti umani. Alan Mathison Turing nasce il 23 giugno 1912 vicino Londra da Julius e Ethel Turing, entrambi impiegati della famiglia reale in India.

Nel 1917, ad appena 5 anni, imparò - da solo e in appena tre settimane – a leggere con l’ausilio di un libro, “Leggere senza lacrime”. Mostrò prestissimo anche un forte interesse per i numeri, che manifestò con l'esasperante abitudine di fermarsi a ogni lampione per identificarne il numero di serie. A 7 anni, mentre era in vacanza con la famiglia, gli venne la brillante idea di raccogliere il miele dalle api selvatiche. Si mise allora a osservare la traiettoria delle api che gli ronzavano intorno. Tracciò un grafico, trovando il punto d'intersezione, e andò dritto all'alveare così individuato. Lasciando ovviamente a bocca aperta l’intera famiglia.

In un’epoca in cui nelle scuole veniva dato molto più peso alle materie classiche e in cui quelle scientifiche venivano viste quasi alla stregua di una perdita di tempo, l’infanzia di Turing venne segnata da un regalo inaspettato. Nel 1922, un benefattore sconosciuto gli regalò il testo Natural Wonders Every Child Should Know del fisico americano Edwin Tenney Brewster. Quella fu la prima volta che Turing prese coscienza dell'esistenza di un tipo di conoscenza chiamata "scienza".

Turing mostrò fin dai primi anni di vita capacità di intuizione straordinarie e una grande propensione alla lettura. Ma a causa della sua eccentricità ebbe sempre problemi in ambito scolastico e accademico. Le sue pagelle furono quasi sempre molto basse. Di lui il suo preside disse «è il tipo di ragazzo condannato a rappresentare un problema in ogni tipo di scuola o comunità».

Nonostante ciò, Turing – che era sempre stato testardo e non conformista – continuò a coltivare a modo suo la passione per la matematica e per le materie scientifiche. A 14 anni, senza aver studiato nemmeno il calcolo elementare, risolse da solo problemi di trigonometria dell'ultimo anno. A 15 anni scoprì lo sviluppo in serie della funzione inversa di una tangente. A 16 anni, dopo aver scoperto il lavoro di Albert Einstein, riuscì a intuire i dubbi di Einstein sulle leggi del moto di Newton. E lo fece studiando su un testo in cui tali dubbi non erano mai resi esplicitamente.

«Einstein ha messo in dubbio gli assiomi di Galileo e di Newton – scrisse alla madre - Adesso ha degli assiomi tutti suoi e può proseguire con la sua logica, sbarazzandosi dei vecchi concetti di spazio e di tempo». Nonostante questo, i giudizi del suo professore di matematica non erano affatto buoni. Con i compagni di scuola non andò meglio. Era spesso deriso per la sua voce stridula e sgraziata e per il suo modo trasandato di vestirsi. Si diplomò infatti a stento.

Alla scuola di Sherborne però Alan conobbe Christopher Morcom, il suo primo vero amico, con cui condivise la spiccata intelligenza e la passione per le materie scientifiche. Ma al contrario suo, Christopher era un ragazzo perfettamente inserito nella società, benvoluto da professori e compagni di scuola. Nel dicembre del 1929 Alan lo seguì all’esame di ammissione al Trinity college di Cambridge. Christopher, studente modello e brillante, lo passò. Alan, il genio pasticcione, no. Pochi mesi dopo, però, Morcom morì per tubercolosi. E così Turing studiò sul serio, forse per la prima volta in vita sua. E l’anno dopo passò l’esame vincendo una borsa di studio per il King’s college. Questo fu il secondo evento a segnare profondamente la sua vita. A Cambridge Turing trovò finalmente un ambiente, se non in grado proprio di accettarlo, almeno di tollerarlo.

A Cambridge Turing scoprì l’astrofisica di Eddington, la matematica di Hardy, l’economia di Keynes, l’intelligenza di George Bernard Shaw e di Bertrand Russell. Per Alan la scienza voleva dire pensare con la propria testa, mettere in discussione tutti gli assiomi. A Cambridge scoprì anche la passione per il teatro, per il cinema e per la corsa. Scoprì anche il primo lungometraggio di animazione, Biancaneve e i 7 nani.

Un film che amò così tanto da segnare la sua vita. Come la filastrocca che la strega malvagia cantava preparando la mela avvelenata «Dip the apple in the brew, Let the Sleeping Death seep through (Immergi la mela nell’infuso, Lascia che vi si insinui il sonno di morte)».

Nel 1934 si laureò con il massimo dei voti. L’anno seguente, durante il corso di fondamenti della matematica tenuto da Max Newman, Alan scoprì i cosiddetti Problemi di Hilbert e i teoremi di incompletezza di Goedel. Nel 1930 il giovane matematico austriaco con i suoi teoremi risolse due dei problemi posti da Hilbert, quello sulla completezza e quello sulla coerenza della matematica, dimostrando come sia incompleta. E cioè che esistano degli enunciati che non si possono dimostrare né come veri né come falsi. Newman chiuse il corso con questa domanda ripresa dai problemi di Hilbert non ancora risolti «esiste un procedimento automatico che, applicato a un enunciato, possa produrre una risposta e dire se quell'enunciato è dimostrabile?».

Nel 1936, dopo aver vinto il premio Smith, Turing si trasferì alla Princeton University dove studiò per due anni, ottenendo infine un Ph.D. In quegli anni pubblicò l'articolo "On computable Numbers, with an application to the Entscheidungsproblem" nel quale per risolvere il problema della decidibilità posto da Hilbert, descrisse per la prima volta quella che sarebbe passata alla storia come "macchina di Turing".

La cosa sorprendente è che per risolvere il problema posto da Hilbert, Turing non ebbe bisogno di costruire la sua macchina universale, gli bastò immaginarla. Si trattava infatti una macchina ideale in grado di manipolare i dati contenuti su un nastro di lunghezza potenzialmente infinita, secondo un insieme prefissato di regole ben definite.

Quella macchina rappresenta uno dei lasciti più importanti di Turing poiché dimostrò la possibilità di implementare qualsiasi algoritmo, qualsiasi processo meccanico, su una sola macchina universale. Rappresentò la nascita della scienza informatica che ha reso possibile i computer moderni e la programmazione.

Pochi anni dopo, nel 1940, a soli 28 anni, Turing divenne capo del gruppo di ricercatori di Bletchley Park che durante la seconda guerra mondiale furono impegnati nella decrittazione delle macchine usate dalla marina tedesca, fra le quali Enigma. Uno dei progetti più importanti e segreti della storia moderna.

Fu grazie al genio di Turing che costruì un’imponente macchina calcolatrice, Bomba, che gli inglesi riuscirono a decriptare i messaggi dei tedeschi dando così una svolta fondamentale alla fine della guerra. E così, all’insaputa di quasi tutto il mondo, Turing divenne anche il primo hacker.

Nel 1950, dopo una vita di successi scientifici e di fallimenti umani, dopo essere stato uno degli eroi più sconosciuti della seconda guerra mondiale, dopo aver inventato la ‘macchina universale’ (prototipo del moderno computer), Turing scrisse quello che ancora oggi resta uno dei testi fondamentali dell’Intelligenza Artificiale: Computing Machinery and Intelligence.

L’articolo cominciava alla maniera informale, chiarissima e provocatoria tipica di Turing. “Propongo di considerare la domanda, «Possono le macchine pensare?». Bisognerebbe cominciare con le definizioni di cosa significhino ‘macchina’ e ‘pensare’, ma invece di tentare tale definizione, sostituirò la domanda con un’altra, che è strettamente connessa e si può esprimere con parole relativamente non ambigue. La nuova forma del problema si può esprimere nei termini di un gioco. Lo chiameremo gioco dell’imitazione”.

Tutto l’articolo è così: limpidissimo e ironico. Venti pagine senza una formula, senza una frase che non sia comprensibile a un sedicenne. Venti pagine da cui traspare il genio ribelle di Alan Turing. Venti pagine in cui Turing sembra aver immaginato molti sviluppi dell’IA e previsto tutte le critiche da lì a settant'anni. Venti pagine in cui inventò il ‘test’ che diventerà uno dei punti più dibattuti della disciplina.

Turing prese le mosse da un gioco che chiamò gioco dell’imitazione. Un ricercatore è chiuso in una stanza e può comunicare col mondo esterno solo tramite una tastiera con la quale invia messaggi e uno schermo sul quale legge le risposte. In altre due stanze, anch’essi isolati, ci sono un uomo e una donna. Il ricercatore deve riuscire a capire solamente dalle risposte che danno, chi dei due sia l’uomo e chi la donna.

I due però hanno il diritto di mentire spudoratamente: loro scopo infatti è di non lasciar capire il proprio sesso. Cosa c’entra l’IA? È proprio qui che entra in gioco la provocazione lanciata da Turing. Cosa accadrebbe se lasciassimo che una macchina giochi al posto di uno dei due? Il ricercatore sbaglierebbe l’identificazione lo stesso numero di volte? E sarebbe capace di riconoscere, anziché il sesso dei due giocatori, quale dei due sia la macchina? Se si avesse una macchina tanto sofisticata – sostenne Turing - da reagire in tutto e per tutto come un essere umano, non si sarebbe costretti a concludere che essa pensi?

IA forte e IA debole, cibernetica, robotica, artificial life, rete neurali, sistemi esperti. Sono tutte scienze figlie più o meno legittime delle idee di Alan Turing. Oggi i campi di ricerca si muovono in nuove direzioni rispetto all’inizio. La stessa IA, oltre che essere stata scorporata in più discipline, è composta da approcci diametralmente opposti alla materia. La cosiddetta corrente forte dell’IA predica la possibilità di creare macchine pensanti a partire dalla creazione di un determinato algoritmo, un programma. Sostiene cioè che l’intelligenza possa nascere dalla creazione di un particolare sistema formale che manipoli simboli.

La corrente debole dell’IA, anche chiamata approccio bottom-up, sostiene invece che per arrivare ad un’intelligenza artificiale sia necessario costruire una serie di reti neurali così potenti che permettano l’emersione di un apparato intelligente autonomamente, senza bisogno di una programmazione umana che la guidi. Una rete neurale è un sistema nel quale inseriamo una serie di numeri o di segnali elettrici che possono rappresentare, per esempio, un’immagine o un suono, e che risponde fornendo altri numeri o segnali elettrici.

Ciò che il programmatore decide della rete è il numero di neuroni, la maniera in cui sono collegati tra loro e il ‘peso’ delle loro connessioni, ovvero quanto valgono i numeri che un neurone riceve dai propri vicini (cioè, nell’analogia col cervello, se le sinapsi sono inibitorie o eccitatorie). Poi la rete impara il resto da sé. C’è anche chi ha provato a coniugare le due correnti, convinto che la soluzione sia nel mezzo.

A più di 70 anni dalla sfida lanciata da Turing - può una macchina imitare così bene il pensiero da riuscire a ingannarci? – la querelle è tutto tranne che superata. Anzi, se si pensa agli ultimi sviluppi, come chatGPT (che per inciso ha superato il test di Turing), si può tranquillamente pensare che una risposta a quella domanda sia oggi più vicina di quanto immaginiamo.

Ma per Turing tutto finì pochi anni dopo aver teorizzato l’intelligenza artificiale. Il 7 giugno 1954 Alan Turing immerse una mela nel cianuro e la morse.

Il genio che lanciò al mondo il pomo della discordia (Può una macchina pensare?), moriva per una mela avvelenata. L’uomo che per anni fu a capo di uno dei progetti più segreti del pianeta, l’eroe in incognito, che fu prima corteggiato dai militari e poi trattato alla stregua di un criminale, costretto per un anno a causa della sua omosessualità a una tortura chimica, si spengeva in silenzio.

Personaggio dai cento misteri, Alan Turing moriva nell’atmosfera da favola di una mela avvelenata.

Uno stupido incidente, a detta della madre. Suicidio, secondo il medico legale. Omicidio commesso dai Governi inglese e americano, secondo altre ricostruzioni. Forse Turing scelse un suicidio dubbio per non creare altri scandali in famiglia. E forse, con l’ironia e il gusto per il cinema che gli erano propri, ebbe la forza di canticchiare in quegli ultimi momenti la canzone che amava ai tempi di Cambridge, quella della strega di Biancaneve: Dip the apple in the brew, Let the Sleeping Death seep through.

 

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