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SCRIPTA MANENT

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LETTURE SENZA CONFINI


L'INDAGINE UMANA. GEORGES SIMENON E LA VERITA' DEGLI ESSERI

Publié par Angelo Marcotti sur 15 Octobre 2025, 07:16am

Catégories : #Autori sotto la Lente

Un apprendistato nel disincanto

Georges Simenon nasce a Liegi nel febbraio del 1903, in una famiglia modesta segnata da una precoce asimmetria affettiva: la madre predilige il fratello, mentre il padre muore troppo presto. A sedici anni Georges abbandona il liceo per necessità economiche, ma anche per una vocazione che già preme: quella della parola scritta. Dopo una breve stagione di mestieri disparati, approda al giornalismo, dove la sua prosa rapida e precisa trova un terreno fertile.
Nel 1922, appena diciannovenne, parte per Parigi. Non ha un soldo, ma una convinzione incrollabile: la scrittura sarà la sua via di riscatto.

L’officina dello scrittore

Sono gli anni folli della capitale francese, e il giovane Simenon vive e scrive con una frenesia quasi febbrile. Tra i ventuno e i ventotto anni pubblica, sotto numerosi pseudonimi, più di duecento romanzi popolari — d’avventura, sentimentali, d’appendice — costruendo inconsapevolmente la propria scuola narrativa.
Da questa officina di parole nascerà l’invenzione che lo consacra: il commissario Maigret. Lontano dal detective infallibile della tradizione anglosassone, Maigret è un uomo che osserva, ascolta, comprende; un investigatore dell’animo umano più che del crimine. Con lui, Simenon rivoluziona il romanzo poliziesco, portandolo dalle pagine dei giornali al cuore della letteratura europea.

A trent’anni, l’autore è già celebre e ricco. Ma mentre sforna un Maigret in dieci giorni, coltiva un’ambizione più alta: scrivere quelli che chiamerà i suoi “romanzi duri”, opere in cui l’indagine si sposta definitivamente dall’esterno all’interno, dal delitto all’anima.

Trionfi pubblici e abissi privati

Nel 1945 Simenon si trasferisce negli Stati Uniti, dove continua a scrivere con la consueta disciplina e conosce una nuova passione, quella per Denyse Ouimet, che sostituirà la prima moglie, Tigy. Dieci anni più tardi, il richiamo dell’Europa lo riporta in Svizzera, dove conduce un’esistenza agiata, circondato dal successo e dalla fama di autore mondiale: si stima che i suoi libri abbiano superato i cinquecento milioni di copie vendute.

Eppure, dietro la prodigiosa macchina narrativa, si consuma il dramma dell’uomo. La separazione da Denyse, la malattia e infine il suicidio della figlia Marie-Jo lasciano in lui una ferita irrimediabile. Dopo la morte della madre, nel 1972, Simenon depone la penna del romanziere per impugnare quella del memorialista: Mémoires intimes (1981) è un lungo colloquio con se stesso, un tentativo di comprendere — o forse assolvere — la propria vita. Si spegnerà nel 1989, a ottantasei anni, in una piccola casa di Losanna.

Lo sguardo sul mondo

Come il suo contemporaneo Joseph Kessel, Simenon fece dei viaggi una forma di conoscenza. L’Africa (Le Coup de lune), l’America centrale (Quartier nègre), gli Stati Uniti del dopoguerra (Feux rouges, Trois Chambres à Manhattan): ovunque cercò l’uomo dietro il paesaggio, la verità dietro l’esotismo. I suoi reportage e romanzi testimoniano un interesse profondo per la condizione umana, per le tensioni della colpa, del desiderio, dell’alcol come sintomo e metafora di un vuoto esistenziale.

Lontano da ogni militanza politica, Simenon rimase un osservatore radicalmente individualista. Durante la guerra, non fu né collaborazionista né resistente: si preoccupò piuttosto di sopravvivere, di continuare a scrivere, di “assorbire la vita come una spugna”, come amava dire. Il suo umanesimo è fatto di empatia concreta, non di ideologia.

Simenon nella storia della letteratura

È difficile individuare un’influenza determinante nella formazione di Simenon. Da giovane lesse Gogol e Dostoevskij, poi gli americani — in particolare John Steinbeck —, ma la sua voce rimase unica, costruita più per sottrazione che per imitazione.
André Gide ne fu il primo grande sostenitore in Francia, imponendolo alla
Nouvelle Revue Française e definendolo “il più importante romanziere del nostro tempo”. Tuttavia, la sua straordinaria produttività suscitò sospetto negli ambienti letterari parigini, dove l’abbondanza veniva spesso scambiata per superficialità.
Come era accaduto a Jules Verne o Maupassant, la popolarità divenne un ostacolo alla consacrazione accademica. Solo più tardi la critica riconoscerà in Simenon un maestro della precisione stilistica e della psicologia implicita, capace di influenzare in modo decisivo il noir americano.

L’arte di indagare l’uomo

Sia nei romanzi di Maigret sia nei “romanzi romanzi”, Simenon indaga la fragilità dell’essere umano. I suoi crimini sono spesso banali, nati dal caso, dalla noia, dal rancore o da un improvviso bisogno di libertà. Ciò che conta non è la soluzione dell’enigma, ma la lenta discesa verso la verità interiore.
Questa tensione verso il reale si accompagna a uno stile limpido, essenziale, libero da orpelli psicologici. In poche frasi, Simenon sa evocare un’intera atmosfera: una luce che filtra tra le persiane, un bicchiere di vino, un gesto trattenuto. È la sua
blue note letteraria — un tocco impercettibile che rende la prosa vibrante, musicale, intensamente umana.

Nei duecento romanzi della sua opera, popolati da oltre diecimila personaggi, nessuno è identico a un altro. Ogni storia è un piccolo laboratorio morale, un microcosmo in cui l’uomo, nudo di alibi, si trova di fronte a se stesso.

Conclusione

Georges Simenon è stato, più che uno scrittore di gialli, un investigatore dell’anima. La sua opera costituisce una lunga e coerente “indagine umana”: una ricerca della verità negli esseri più comuni, nei loro gesti, nei loro silenzi, nelle loro cadute.
Leggerlo significa confrontarsi con l’ordinario che diventa destino, con la vita che, sotto la sua penna, smette di essere cronaca e si fa rivelazione.

 


 

 

 


 

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