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Georges Simenon lasciò Liegi a vent’anni e, da allora, non appartenne più a nessun luogo. Parigi, la Charente-Maritime, la Vandea, gli Stati Uniti, la Svizzera: ovunque visse da straniero.
A differenza di molti scrittori della sua generazione, non proveniva da un ambiente colto né possedeva una rete di relazioni nel mondo letterario parigino. Era un autodidatta, un self-made man della parola, che costruì la propria carriera con una disciplina ferrea e una fiducia assoluta nel potere della scrittura.
Questo destino di outsider spiega in parte la centralità del tema del riconoscimento nella sua opera. Simenon conosceva intimamente la tensione fra inclusione ed esclusione, la ferita dell’uomo che osserva dall’esterno, in bilico tra desiderio di appartenenza e impulso alla fuga.
La parabola biografica stessa dello scrittore sembra tratta da uno dei suoi romanzi: dopo aver conquistato il mondo editoriale, comprato castelli, viaggiato in Rolls-Royce e animato feste leggendarie, finì i suoi giorni in una modesta casa svizzera, accanto alla donna che era stata la sua governante.
È il destino, ironico e crudele, di chi ha sempre inseguito il riconoscimento e, una volta ottenuto, ne scopre il vuoto.
Il tema dell’esclusione ritorna costantemente nei romanzi di Simenon, soprattutto al di fuori del ciclo di Maigret. Nei suoi “romanzi duri”, l’individuo è spesso posto ai margini della società e tenta invano di attraversarne le frontiere invisibili.
In La Boule noire, ad esempio, un impiegato povero che ha conquistato una posizione sociale scopre di essere ancora un intruso: i notabili del Country Club lo respingono con un gesto rituale di esclusione.
In Les Gens d’en face, una segretaria turca, umiliata dal disprezzo di un diplomatico straniero, trasforma il risentimento in vendetta.
Le geografie cambiano — l’America, l’Europa dell’Est, la provincia francese — ma il meccanismo rimane lo stesso: la società simenoniana è un organismo chiuso, ostile a chi tenta di scardinarne le regole.
Ma l’esclusione non è soltanto sociale. Essa si manifesta anche nell’intimità, nei rapporti più prossimi. Nel magnifico La Vérité sur Bébé Donge, una donna tenta di avvelenare il marito senza poter spiegare il perché. Vivono, dice, un matrimonio “armonioso”, privo di conflitti. Eppure, sotto la calma domestica, si consuma un lento svuotamento: un’esistenza negata da parole non dette, da attenzioni che mancano.
Il riconoscimento negato diventa così una forma di morte silenziosa — non quella fisica, ma quella dell’anima.
L’universo di Simenon, per molti aspetti, ricorda quello di Maupassant: entrambi narrano la disillusione, la miseria affettiva, la brutalità delle convenzioni sociali.
Eppure, dove Maupassant si ferma al disincanto, Simenon lascia intravedere una piccola luce: una speranza fragile, ma tenace.
La sensualità dei corpi, i piaceri del cibo, la convivialità quotidiana — la birra e i panini di Maigret, l’andouillette, la prunelle, una buona pipa — sono gesti di resistenza alla desolazione del mondo.
Nei suoi romanzi, anche nei momenti più bui, affiora sempre una possibilità di rinascita: la solidarietà delle donne di Ostenda in Il borgomastro di Furnes; la nuova vita della coppia con il loro bambino in Il cane giallo; o ancora la capacità del marito di Bébé Donge di guardarsi dentro, perdonare e ricominciare.
È una speranza ingenua? Simenon non risponde. Come tutti i grandi romanzieri, lascia al lettore il compito di decidere se la redenzione sia reale o soltanto un’illusione necessaria.
Ciò che resta certo è la durezza della vita sociale: chi tenta di affermare la propria libertà deve pagare un prezzo. Come l’eroe de Le Voyageur de la Toussaint, che, dopo aver sconfitto i notabili di La Rochelle, sceglie la solitudine del vagabondo, libero ma escluso.
Simenon racconta l’eterna tensione tra desiderio di appartenenza e bisogno di libertà. Nei suoi personaggi vive il sogno del riconoscimento — sociale, affettivo, umano — ma anche la consapevolezza che ogni riconoscimento, una volta ottenuto, porta con sé una perdita.
In questa dialettica si trova forse il segreto della sua grandezza: una letteratura che non pretende di spiegare il mondo, ma di restituirne il battito — quello irregolare, commovente, profondamente umano di chi non smette di cercare un posto tra gli altri.














