Quando una persona supera i limiti del possibile, sfida le leggi della natura o della società, e lascia un segno indelebile nella sua disciplina… allora non è solo un campione. È un Mito.
I Miti moderni non nascono solo dal talento. Nascono dal sacrificio, dalla dedizione assoluta, dalla capacità di trasformare il rischio in arte, la paura in crescita, la caduta in risalita. Sono uomini e donne che hanno dedicato la vita a un sogno – spesso pagandone il prezzo più alto – ma conquistando l’eternità nella memoria di chi li ha seguiti.
Voglio raccontare le storie di alcuni di questi eroi. Storie vere, stupefacenti, che meritano di essere conosciute.
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Emil Joseph Diemer: il visionario del caos sulla scacchiera
Chi crede che gli scacchisti siano tipi eccentrici troverà in Emil Joseph Diemer la conferma definitiva. E forse anche qualcosa di più.
Nato nel 1908 a Radolfzell, in Germania, Diemer fu un appassionato precoce del gioco degli scacchi. Ma la sua prima partita pubblicata arrivò solo nel 1932. In termini puramente tecnici, non fu mai un grande campione. Ma ciò che gli mancava in forza lo compensava in carisma, fervore e una visione del gioco fuori dal comune.
Negli anni ’50 e ’60, Diemer divenne un profeta. Il suo vangelo? Il Gambetto Blackmar-Diemer, un’apertura tanto temeraria quanto affascinante:
1. d4 d5 2. e4 dxe4 3. Sc3 Sf6 4. f3
Un invito al caos. Una sfida all’ordine posizionale. Diemer non lo giocava soltanto: lo predicava come una religione.
“Giocate il Blackmar-Diemer e il matto arriverà da solo!”
“Il Blackmar-Diemer cambia l’uomo!”
Non erano solo slogan. Per lui erano verità assolute.
Nel 1996, uno dei suoi più accesi seguaci, Georg Studier, gli ha dedicato una biografia di 280 pagine: “Emil Joseph Diemer. Una vita per gli scacchi attraverso gli specchi del tempo”. Un’opera appassionata ma onesta, che ritrae un uomo geniale, esaltato, controverso.
Diemer fu tutto questo, e anche di più. Nel 1931, disoccupato, aderì al partito nazista. Non per opportunismo, ma per fanatismo. Questo gli aprì alcune porte nel mondo scacchistico tedesco, divenne giornalista per giornali del regime, partecipò a eventi prestigiosi. Ma non guadagnava abbastanza. Vivacchiava, sostenuto da mecenati e da qualche lavoretto.
Dopo la guerra, la caduta fu inevitabile. Fu espulso dalla Federazione scacchistica tedesca nel 1953 per una campagna diffamatoria contro i dirigenti (accuse di omosessualità e “corruzione della gioventù”). Una caduta rovinosa, che lo isolò dal mondo che amava.
Eppure, non si arrese. Pubblicò una rivista tutta sua, Die Blackmar-Gemeinde, bombardò le redazioni con lettere e analisi del suo gambetto, scrisse un libro intitolato “Vom ersten Zug an auf Matt!” – “Dallo scacco iniziale al matto!”
Dopo un torneo andato male in Inghilterra, Diemer trovò la spiegazione... in una rivista femminile: colpa del bioritmo! Da quel momento, calcoli e grafici cominciarono ad accompagnare ogni sua partita.
Ma non finisce qui. Si convinse di aver decifrato le profezie di Nostradamus con un semplice codice alfabetico. Scrisse e inviò 10.000 lettere (!) con le sue scoperte. I vicini lo vedevano gridare per strada, interrompere funerali per avvertire che “qui è sepolto un vivo”, e predire catastrofi imminenti.
Nel 1965 fu internato in una clinica psichiatrica. Gli fu vietato di giocare a scacchi. Per un uomo come Diemer, fu come morire.
Nel 1971 accadde qualcosa di incredibile: grazie all’intervento di un giovane ammiratore, gli venne revocato il divieto. Poteva di nuovo giocare, e persino tornare in Federazione. Ricevette una nuova dentiera, promessa vent’anni prima da un sostenitore. E ricominciò a insegnare e ispirare.
Era ormai anziano e fragile, ma il fuoco interiore non si era spento. Si diceva certo che un giorno avrebbe vinto il Premio Nobel per le sue scoperte su Nostradamus. Intanto, la sua scacchiera restava circondata da giovani affascinati dal suo stile aggressivo e dal suo carisma.
Morì nel 1990, povero e cieco, in una casa di cura a Fußbach. Ma gli abitanti del villaggio lo ricordavano con rispetto. “Un grande giocatore,” dicevano, “forse il più grande.”
Non lo era davvero, almeno secondo i criteri ufficiali. Ma nel suo mondo, nel suo universo di simboli, visioni e gambetti arditi, Diemer fu un gigante.
Non si misura tutto in Elo. A volte, la grandezza è in ciò che si osa, non in ciò che si conquista.