/image%2F4717381%2F20251031%2Fob_af5074_pezzo.png)
Quando i medici gli chiesero se desiderasse partecipare a una sperimentazione clinica di Livello III Grave, Alexander, che conosceva bene il linguaggio medico, capì che si trattava di un nuovo farmaco o di un nuovo trattamento. Accettò, perché era stanco di restare chiuso tutto il giorno nell’istituto e desiderava recarsi al laboratorio di sperimentazione. Ma soprattutto, aveva perso una parte fondamentale di sé — a causa di una scheggia, undici anni prima, finendo su una mina — e continuava a tormentare ciò che restava della sua corteccia cerebrale nella speranza di ritrovarla.
I medici gli assicurarono che il nuovo trattamento, da somministrare lontano dalla città per evitare interferenze elettriche, aveva dato ottimi risultati sugli animali, e che, se avesse firmato il modulo di consenso, avrebbe potuto poi tornare a casa.
La casa. Sembrava un sogno. Un sogno piacevole.
Una volta, da bambino, alla fiera della contea, Alexander — allora ancora innocente — si era allontanato dalla mano di sua madre, distratta dallo zucchero filato o dal gelato. Era stato accecato dalle luci, assordato dalle voci dei venditori ambulanti, e aveva chiesto aiuto a un cowboy alto. A quel tempo, casa non era un sogno, ma la perdita di essa un incubo.
Ora, privo di una parte essenziale di sé e con la speranza di ritrovarla senza dover tornare nella giungla di guerra piena di serpenti e trappole esplosive, Alexander firmò il consenso e salì su un furgone dell’istituto, con un medico e un autista che, in un modo bizzarro, gli ricordava una mucca. Entrambi portavano distintivi ed espressioni importanti.
Osservò i ponti e gli edifici sfilare mentre il veicolo lasciava il traffico, dirigendosi verso la periferia dove la terra naturale sfuggiva alla morsa della città. Non usciva dall’istituto da undici anni. Guardava i grattacieli, con le loro moltitudini di finestre e balconi. Su alcuni balconi, minuscole figure umane si muovevano in alto.
— Perché non saltano? chiese.
— A loro non manca una parte di sé, rispose il medico.
Aveva senso, per Alexander di Livello III Grave.
Sapeva che qualcosa nella sua testa era andato in frantumi tra le cime degli alberi, tanti anni prima, ma non era sicuro di cosa fosse stato. Forse, prima della guerra, era un pittore. O forse un falegname. L’unica cosa che sapeva con certezza era una fede che gli solleticava il sangue: da qualche parte, viveva un dio che sorrideva.
Usciti dalla città, lasciarono l’autostrada e attraversarono campi di grano e di mais.
— La coltivazione è il lavoro più vitale, disse Alexander. Era una frase letta molto tempo prima. Non sapeva se fosse vera, ma gli sembrava sensata.
— Sì, rispose il dottore.
— Perché?
— Suppongo che tutti dobbiamo mangiare.
Alexander annuì, soddisfatto della logica semplice, e si perse in un ricordo che maturava nella sua mente come un frutto: un tempo, attorno a un fuoco, con altri soldati, gettavano proiettili inesplosi tra le fiamme.
L’idea era non sussultare quando esplodevano, e, con un po’ di fortuna, non essere colpiti dalle schegge. Uno di loro fu ferito alla mascella, ma sopravvisse: la benedizione del congedo per motivi di salute lo riportò a casa, dove lo attendevano la chirurgia ricostruttiva, la famiglia e un lavoro in fabbrica.
Quelli erano i fortunati, pensò Alexander, mentre il furgone saliva sulle montagne.
Alcuni non tornarono affatto.
Altri tornarono senza gambe, senza organi, o — peggio ancora — senza il ricordo di chi fossero e del motivo per cui avevano offerto la loro giovinezza al richiamo del governo.
Se avesse dovuto indovinare, Alexander avrebbe detto di essersi arruolato per proteggere il proprio stile di vita, ma poiché non ricordava più quale fosse, non era certo che valesse la pena difenderlo.
Il medico gli toccò il braccio.
— Ci siamo quasi, disse.
Alexander annuì. Era pronto a ritrovare ciò che aveva perso.
Arrivarono a un cancello con una guardiola. Dopo il rituale di identificazione, entrarono. La struttura di prova si trovava su una collina, e sembrava un vecchio ranch.
Alexander pensò di sentire un animale.
— Avete delle mucche? chiese. Le lunghe ombre pomeridiane potevano nascondere qualsiasi cosa.
— È solo il vento, rispose il medico. Inizieremo domani mattina.
Il giorno dopo, il dottore venne presto. Dopo una colazione leggera, uscirono e si sedettero su una panchina. Il sole accendeva di azzurro la giornata.
— Non sono stato sincero con te, disse il medico.
— Quando?
— All’istituto, quando ti ho detto che i test sugli animali avevano funzionato bene.
— Cosa è successo?
— Alcuni di loro sono morti.
— Il sole è piacevole, disse Alexander.
— Capisci?
— Non proprio.
— Potresti morire qui, Alexander.
— Perché allora?
— Voglio aiutarti, figliolo.
Alexander di Livello III Grave annuì. Anche questo aveva senso.
Immaginò che ciò facesse sorridere il suo dio. Per come stavano le cose, non stava vivendo. Non come si dovrebbe vivere, almeno. Ogni mattina, all’istituto, aprivano la sua porta. Ogni sera, la richiudevano. Il cibo era prevedibile. Fino a ieri, non vedeva un albero vero da undici anni.
— Va bene, dottore, disse Alexander. Forse troverò il pezzo che mi manca.
Il medico si alzò.
— Cominciamo, allora.
Si avviarono verso il laboratorio.
Alexander alzò lo sguardo al cielo. Vi fluttuavano alcune nuvole cumulo, regni imbottiti di un tempo più dolce. Un falco volteggiava in cerchio.
Traduzione di Angelo Marcotti














