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La prima volta che si incontrarono, lei aveva in mano un bouquet e lui stava accompagnando una sposa all’altare. Sentì il suo sguardo su di sé e arrossì come le sue peonie, cercando di non sorridere più del beato mezzo sorriso di Monna Lisa che aveva stampato in volto per tutta la mattina. Aveva sorriso così tanto che le faceva male la faccia. Non vedeva l’ora di tornare in hotel, bere alcolici da bottigliette e aggrottare le sopracciglia davanti allo specchio, per distendere i muscoli affaticati.
Non è mai appropriato flirtare con il padre della sposa — lo sanno tutti. E non lo è nemmeno con lo zio o con qualsiasi altro parente. Solo che lui non era un parente. Era un sostituto. Almeno, così aveva sentito dire. La sposa era in contrasto con la famiglia, quindi quest’uomo era un collega, un capo, o forse un meccanico. Qualcosa del genere.
Perché Wilma era lì? Conosceva a malapena la sposa. Ma conosceva lo sposo — e non in modo ambiguo, bensì in modo piuttosto esplicito.
I due avevano quasi avuto una relazione al college, durante una festa in maschera in cui ognuno impersonava un personaggio dei cartoni animati preferiti: lei era Wilma Flintstone (per via del nome) e lui Barney Rubble (per via del suo). Qualcosa nel tabù di andare a letto con il miglior amico del marito dei cartoni animati l’aveva intrigata, ma non era mai successo. Quella sera erano troppo ubriachi, e l’occasione era svanita.
Non che mancasse la chimica. Ma lei non era mai stata brava con i becchi Bunsen.
Invece, erano diventati amici. Anche se la maggior parte di life coach, terapeuti, influencer, migliori amici e occasionali venditori d’auto usate sostengono che un uomo e una donna — un Barney e una Wilma, per così dire — non possano mai essere veri amici. Ci sarà sempre una certa tensione. Ma non per loro.
Certo, erano stati intimi. Intimi da appoggiarsi l’uno all’altra mentre studiavano, da ritrovarsi su una coperta al tramonto in un parco, da percepire un lieve battito di ciglia ma non abbastanza da alimentare il fuoco. Così avevano confinato la loro relazione nella zona amici.
E, sorpresa: funziona. Più o meno.
Prima del fidanzamento, Barney era sempre stato presente per Wilma. Quando lei aveva lasciato il fidanzato storico e doveva traslocare in fretta, lui era arrivato all’una di notte con un furgone e un mucchio di scatole. Quando lei piangeva nel bagno del lavoro dopo una storia di due notti finita male, lui non solo era andato in ufficio, ma era entrato nel bagno delle donne, l’aveva asciugata e poi portata al molo a dare briciole ai gabbiani per “rimettere le cose in prospettiva”.
Erano quasi come le coppie delle pubblicità dei farmaci con troppi effetti collaterali per essere elencati in un solo respiro: perfettamente a loro agio insieme.
«Perché non esci con nessuno?» le aveva chiesto la sua migliore amica.
«Perché lui è Barney», aveva risposto. Come se fosse una risposta. Forse lo era.
Era stato lui a convincere la sua promessa sposa a inserirla tra le damigelle, dicendole che, se non l’avesse fatto, l’avrebbe messa tra i testimoni.
Ecco perché lei era lì, circondata da damigelle bellissime che sembravano nate per farla sentire fuori posto.
Indossava un abito color sacchetto di carta bagnato — sicuramente scelto apposta per lei. Gli altri abiti, di tonalità diverse, andavano dal cioccolato al tortora. Perché a lei era toccato proprio il marrone della spesa, se la sposa non la detestava?
Il finto padre le stava sorridendo di nuovo. Attraente, non molto più grande di lei, con capelli scuri e occhi azzurri. Un po’ sexy, in realtà. Si chiese se lui la trovasse affascinante, ridicola, o simile alla madre della sposa, incantevole nel suo abito color lavanda.
Oh, Wilma si sentiva stordita. Quanto duravano i matrimoni, poi? Perché aveva accettato? Avrebbe potuto dire a Barney: no, grazie, apprezzo ma passo. E invece no. Eppure sua madre le aveva detto: Lo ami, è il tuo uomo.
«Lo ami.» Era stata quella la frase. Lo ami.
Ora, in piedi tra le damigelle appassite nella chiesa rovente, capì qualcosa che non aveva mai compreso prima: forse lo amava davvero. Forse era per questo che la sposa l’aveva relegata al marrone. Forse era per questo che si sentiva così male, perché aveva bevuto troppa vodka in aereo, perché come regalo di nozze gli aveva comprato una salsiera, convinta che fosse uno scherzo. Chi mai avrebbe voluto una salsiera? Simbolo perfetto degli anni ’50. Ma Betty — la sua unica, il desiderio del cuore di Barney — aveva molto degli anni ’50 in sé. Wilma avrebbe scommesso tre mesi di stipendio che nel salotto di Betty ci fossero dei centrini.
L’aria era soffocante. Troppe gardenie nel bouquet. Nessuno aveva detto alla sposa che i fiori profumati sono pericolosi?
Sognava la doccia d’hotel, il sapone gratuito, l’acqua fredda.
Non aveva bevuto abbastanza, e lo capì troppo tardi. Ma era stato voluto: temeva di dover andare in bagno nel momento sbagliato. Ora la cerimonia sembrava infinita, e una vespa, intrappolata nel vetro colorato, ronzava disperata. Nella sua mente, quella vespa voleva scappare quanto lei. Forse anche lei era innamorata di Barney.
La sensazione di svenire arrivò improvvisa. Le gambe le tremarono. Il sacerdote pronunciò le parole dei film — “Se qualcuno ha motivo per opporsi a questo matrimonio…” — e Wilma pensò: Io! Io!
Se solo l’avesse saputo prima. Se solo avesse ammesso di non essere Wilma, ma Betty, con i centrini e la salsiera.
Le cedettero le ginocchia, poi tutto il corpo, quasi in silenzio. Fu allora che il finto padre la afferrò al volo, come uno sposo che porta la sposa oltre la soglia, simbolo di qualcosa che non riconosciamo più.
La portò fuori, prima che gli altri reagissero. La fece sedere all’ombra, chiese un bicchiere d’acqua.
Si rilassò non appena la brezza le sfiorò il viso, capendo di essere finalmente fuori — fuori dalla chiesa, e probabilmente fuori anche dalla vita di Barney e Betty per sempre. Il sostituto sembrava preoccupato. Lei bevve in modo per nulla signorile, bagnando la parte anteriore del vestito di carta.
Lui si appoggiò al tronco di un albero e la osservò con un mezzo sorriso, poi le tese la mano:
«Non credo che ci siamo presentati come si deve. Mi chiamo Fred.»
«Wilma», rispose lei. E sorrise.
Traduzione di Angelo Marcotti














