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In un contesto dominato dal relativismo e dalla dissoluzione del concetto di verità, l’opera di John Searle rappresenta una delle più solide difese del realismo filosofico e della chiarezza razionale. Il contributo di Searle alla filosofia del linguaggio e della mente — dalla teoria degli atti linguistici al celebre esperimento della stanza cinese — mostra come il linguaggio non descriva soltanto la realtà, ma la costituisca attraverso l’azione sociale e l’intenzionalità. La sua riflessione sulla coscienza, sul rapporto mente-corpo e sulla distinzione tra intelligenza autentica e simulazione artificiale fornisce un quadro teorico di riferimento per comprendere le sfide epistemologiche e antropologiche poste dall’era dell’Intelligenza Artificiale e della post-verità.
Parole chiave: John Searle; realismo filosofico; filosofia del linguaggio; atti linguistici; intenzionalità; intelligenza artificiale; post-verità.
Nell’odierno panorama culturale, segnato da una crescente relativizzazione della verità e dalla perdita del criterio del reale, la figura di John Searle (1932–2024) emerge come punto di riferimento per la filosofia contemporanea.
La tendenza a dissolvere ogni distinzione tra vero e falso, tra bene e male, ha prodotto un disorientamento epistemico e morale che minaccia la possibilità stessa del discorso razionale. In questa cornice, Searle si oppone alle derive del postmodernismo — da Foucault a Derrida, da Rorty a Butler — riaffermando la necessità di un pensiero fondato su chiarezza, rigore e realtà.
Allievo di John L. Austin, Searle assunse come principio filosofico la regola: non dire mai ciò che è palesemente falso.
In un’epoca segnata dalla retorica e dall’ambiguità deliberata, tale motto divenne per lui un fondamento etico ed epistemologico. La verità non è un costrutto sociale ma una condizione dell’agire razionale, indispensabile tanto alla scienza quanto alla democrazia.
La sua battaglia per la libertà di parola, iniziata a Berkeley negli anni Sessanta, si concretizzò nell’opera The Campus War (1971), dove denunciava il pericolo della sostituzione del pensiero critico con l’attivismo ideologico e la retorica identitaria. Tali avvertimenti risultano oggi profetici, di fronte all’espansione della “cultura della cancellazione” e delle politiche linguistiche coercitive.
Nel suo capolavoro Speech Acts (1969), Searle sviluppa e perfeziona la teoria degli atti linguistici formulata da Austin.
Ogni atto linguistico è una forma di azione regolata: parlare significa compiere un atto che modifica il mondo sociale. Le parole non solo rappresentano la realtà, ma la creano, generando impegni, obblighi e riconoscimenti condivisi.
Tale prospettiva trasforma la filosofia del linguaggio in una teoria generale della conoscenza e in una filosofia della mente, poiché l’intenzionalità — la direzionalità della coscienza verso oggetti e stati di cose — costituisce il ponte tra linguaggio e realtà.
Searle rifiuta tanto il dualismo cartesiano quanto il riduzionismo materialista.
La sua teoria del naturalismo biologico considera la coscienza come un fenomeno biologico emergente, reale e irriducibile.
Essa è causata da processi cerebrali ma possiede proprietà qualitative e soggettive che non possono essere spiegate in termini puramente fisici.
Ne deriva una posizione di realismo radicale: la realtà esiste indipendentemente dal linguaggio, e ogni atto conoscitivo presuppone un mondo esterno stabile, condiviso e verificabile.
Con il celebre esperimento della stanza cinese (1980), Searle intende confutare le pretese dell’Intelligenza Artificiale forte.
Immagina una persona che, senza conoscere il cinese, manipola simboli seguendo istruzioni formali, producendo risposte linguisticamente corrette ma prive di comprensione semantica.
L’esperimento mostra che la manipolazione sintattica dei simboli non implica comprensione: il computer può imitare l’intelligenza, ma non possedere intenzionalità o coscienza.
La mente umana, dunque, non è un software e non può essere ridotta a un processo computazionale.
In un’epoca in cui l’I.A. permea ogni aspetto della vita quotidiana, l’avvertimento di Searle conserva una forza critica straordinaria.
Se parlare è agire, allora controllare il linguaggio significa controllare la realtà.
Il concetto di background, introdotto da Searle, designa l’insieme delle conoscenze implicite e delle pratiche condivise che rendono possibile la comunicazione.
Alterare tale contesto attraverso manipolazioni linguistiche o censure significa modificare la percezione collettiva del mondo.
Nel clima culturale attuale, in cui il linguaggio viene costantemente ridefinito da ideologie e agende politiche, la lezione di Searle assume un valore etico e politico di prim’ordine.
La scomparsa di John Searle segna la perdita di una delle voci più coerenti nella difesa della razionalità, della verità e della libertà intellettuale.
La sua filosofia, fondata sulla chiarezza e sull’onestà epistemica, si oppone frontalmente all’oscurità linguistica e alle derive antirealiste del pensiero postmoderno.
Nel tempo della post-verità e della simulazione artificiale dell’intelligenza, il suo richiamo alla realtà come fondamento del pensiero umano rimane un punto fermo:
Senza verità non c’è libertà, e senza realtà non c’è pensiero.
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Searle, J. (1969). Speech Acts: An Essay in the Philosophy of Language. Cambridge University Press.
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Searle, J. (1983). Intentionality: An Essay in the Philosophy of Mind. Cambridge University Press.
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Searle, J. (1984). Minds, Brains and Science. Harvard University Press.
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Searle, J. (1971). The Campus War: A Sympathetic Look at the University in Agony. World Publishing.
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Bloom, A. (1987). The Closing of the American Mind. Simon & Schuster.
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Austin, J. L. (1962). How to Do Things with Words. Oxford University Press.














