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SCRIPTA MANENT

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LETTURE SENZA CONFINI


GERMANIA: QUANDO LA LIBERTA' D'OPINIONE FINISCE IN MANETTE

Publié par Angelo Marcotti sur 23 Octobre 2025, 07:49am

Catégories : #Società

Uno stato d’eccezione bellico e ideologico travestito da democrazia liberale

di Angelo Marcotti

L’arresto dello scrittore scomodo

In Germania si può ancora criticare il governo, purché non quello sbagliato.
Lo sa bene
Jürgen Todenhöfer, 84 anni, ex deputato della CDU, giornalista, scrittore, uomo che nella vita ha avuto l’unica colpa di ragionare con la propria testa.

A Monaco lo hanno arrestato per “istigazione all’odio” e “banalizzazione dell’Olocausto”.
Il suo crimine? Un post su X in cui paragonava Benjamin Netanyahu ai nazisti.
Frase dura, certo. Ma da qui a trasformarla in un reato, c’è tutto il salto mortale di un Paese che non sa più distinguere tra antisemitismo e critica politica.

La polizia ha perquisito la casa, sequestrato telefoni e computer.
Una scena da romanzo distopico, ma è solo cronaca tedesca del 2025.
Todenhöfer, che da decenni denuncia guerre e ipocrisie in Afghanistan, Iraq e Siria, ha commentato:

Se sarò condannato, sarà un onore: difendere la libertà e la pace in Palestina è un dovere.”
Un vecchio che parla di pace, scambiato per un criminale d’odio. E l’Europa applaude in silenzio.
Reprimere per proteggere

Il caso Todenhöfer è solo la punta dell’iceberg.
Il clima in Germania — e non solo — è quello di una
repressione soft, ma costante: elegante, legale, giustificata in nome della “lotta all’odio”.

Yanis Varoufakis, ex ministro greco e volto di un’Europa alternativa, è stato bandito dagli eventi pubblici dopo aver definito “apartheid” la politica israeliana.
Centinaia di manifestanti pro-Palestina sono stati
arrestati o dispersi con la forza a Berlino, Amburgo e Francoforte, colpevoli di voler gridare “stop al genocidio”.
Artisti e accademici esclusi da festival e università per aver espresso solidarietà ai civili di Gaza.

Così la Germania, che ama insegnare al mondo il significato della democrazia, si ritrova a perseguitare chi ne mette alla prova i limiti.

L’Europa che odia l’odio (e chi pensa)

La malattia, ovviamente, è contagiosa.
Da Parigi a Bruxelles, da Roma a Madrid, si moltiplicano le norme “contro l’odio”, che in realtà servono a
neutralizzare il dissenso.
Oggi non serve più un Ministero della Verità: basta un algoritmo, un tribunale e un comunicato stampa del governo.

Siamo arrivati al punto in cui la libertà d’opinione è un diritto condizionato:
puoi dire tutto,
a patto che non contraddica la narrativa atlantica.
Il pacifista diventa “filorusso”, il solidale “antisemita”, lo scettico “negazionista”.

Così si fabbrica il nuovo cittadino europeo: ben informato, purché disinformato.

Una domanda personale (e politica)

E allora viene da chiedersi:
cosa accadrebbe oggi se qualcuno — mettiamo un autore italiano — pubblicasse un libro come
“Contro il Sionismo Reale”?
Un testo che distingue, con rigore, tra antisemitismo e critica al sionismo politico.
Verrebbe accolto come contributo al dibattito o come reato d’opinione?

E Moni Ovadia? Alessandro Di Battista? Li arresterebbero anche loro?
A suo tempo, avrebbero arrestato pure Gerald Kaufman, deputato ebreo britannico, che disse le stesse parole di Todenhöfer?

Forse sarebbe ora che il Parlamento italiano, invece di varare leggi bavaglio scritte da ex manager israeliani come Maurizio Gasparri, chiedesse spiegazioni a Berlino.
Perché non è solo un problema tedesco: è una questione europea.
E riguarda milioni di cittadini che non accettano che la coscienza critica venga trattata come un virus.

Lo stato d’eccezione permanente

Non si tratta solo di censura: è una strategia di guerra.
Un
“stato d’eccezione ideologico” che serve a blindare il consenso, in vista di un nuovo conflitto — militare e mediatico — contro la Russia e contro chiunque osi mettere in discussione il blocco NATO.

Chi critica le sanzioni è “putiniano”.
Chi chiede il cessate il fuoco è “amico di Hamas”.
Chi indaga sul sabotaggio del Nord Stream, come ha fatto Todenhöfer, viene trattato da traditore.

Si chiama preparazione bellica.
Non contro un nemico esterno, ma
contro i cittadini che non ci stanno.

Dal Medio Oriente all’Europa: la guerra dei popoli

Oggi indignarsi per Gaza è facile: le immagini parlano da sole.
Più difficile è capire che
la stessa logica di menzogna e censura sta preparando la prossima guerra, quella in casa nostra.

Quando le economie europee crolleranno per sostenere la crociata “pro-democrazia”, quando i popoli cominceranno a chiedersi perché devono sacrificarsi per i profitti di BlackRock e per i capricci di Washington, allora lo sguardo si sposterà da Netanyahu il genocida a Merz il distruttore delle classi medie, fino a tutti gli altri architetti della guerra.

Ecco perché stanno accelerando.
Come ha detto il cancelliere prediletto dai mercati, bisogna “blindare quelli che fanno il lavoro sporco per noi”.
Già. Il lavoro sporco della democrazia ridotta a brand, della libertà sotto tutela, del pensiero con il permesso di soggiorno.

Conclusione

Non serve essere profeti per capire dove stiamo andando.
Serve solo un po’ di memoria: ogni volta che un governo inizia a
decidere cosa si può dire e cosa no, è perché ha paura.
Non dei terroristi, non degli estremisti.
Ha paura delle parole che smascherano le bugie.

E in Europa, ormai, dire la verità è diventato il più grave dei reati.

 

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